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GRANO E IL PANE. Un progetto promosso dal Settore demoetnoantropologico e beni immateriali della Soprintendenza ABAP di Salerno e Avellino e pubblicato nella rubrica “visioni dai territori” dall’ Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale

17 novembre 2020

 

Il Progetto
Storie di PiantaGrani
, promosso dal Settore demoetnoantropologico e beni immateriali della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Salerno e Avellino e pubblicato nella rubrica “visioni dai territori” dall’
Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale
- MiBACT, è un contenitore narrativo che riguarda il cibo, il territorio e tutte le forme, tra cui l’arte, che collegano cibo, ritualità e tradizione e nasce e si sviluppa dall’idea di
Loredana Parisi
sociologa esperta in comunicazione e appassionata di recupero delle tradizioni gastronomiche.
Il racconto del grano e del pane di PiantaGrani parte dai campi dell’Alta Valle del Sele, situati nell’area dei Sperlonga, nelle fertili “Terre di santa Maria” come popolarmente definite, dove insiste il Santuario della Madonna della Sperlonga noto per gli affreschi bizantini, per i resti integri di celle di monaci italo-greci e per il sorgere sulla roccaforte che dominava una antica cittadella a ridosso di un ruscello, e si concretizza nel testo dell’antropologo
Simone Valitutto
“Le cuccive di Maggio” che racconta l’origine e la motivazione antropologica di un piatto fondamentale sulla tavola primaverile dei contadini, e in un video “Dialoghi di storia walking tour” riguardante la mietitura a mano del grano presso il Santuario della Chiesa della Sperlonga di Palomonte, accompagnata dal seminario itinerante sulle tracce del Monachesimo italo greco a cura della prof.ssa Rosanna Alaggio, Università degli studi del Molise.
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La rubrica visioni dai territori oggi ci porta in
Regione Campania
alla scoperta del progetto
Storie di PiantaGrani
Il culto del grano è legato fin dalla notte dei tempi alla Dea più affascinante e potente: Demetra o Madre Terra, artefice dell’intervallarsi delle stagioni e protagonista di miti legati alla forza dell’amore, della fertilità e dell’alternarsi del buio e della luce che rispettivamente custodiscono e fanno germogliare. Ogni nuova stagione è preziosa per il chicco di grano perché custodisce uno specifico che dalla custodia del seme, attiva il germoglio fino a diventare chicco, farina e poi pane. Il chicco prodotto dalla mietitura nel nuovo ciclo diventerà di nuovo grano. Il susseguirsi dei cicli è infinito, e benedetto. Il chicco di grano è il prodotto più bello e completo del rapporto dell’uomo con la terra, il nucleo di una grande storia che ci portiamo dietro da millenni e che solo negli ultimi decenni è mutato.
Il Grano e il pane sono legati alla terra e ai culti religiosi dei territorio. Sono legati alla sacralità dei riti contadini, alle terre da benedire, alle preghiere per la continuità della specie.
Il grano e il pane portano in sè ritualità, sono un viaggio nella cultura dell’umanità, accompagnano le sorti delle genti nella loro disperazione (povertà) o nella loro prosperità (ricchezza e abbondanza).
Il grano e il pane sono stati fondamentali anche in questa strana e inaspettata fase della nostra umanità. Durante la quarantena da COVID-19 hanno ricoperto un ruolo importante: farina di grano da impastare, pane da cuocere, ritualità rassicuranti da ripercorrere. L’emergenza COVID-19 ha prodotto un nuovo senso della comunità: la malattia è collettiva, il lutto è collettivo, la trasgressione delle regole è affare di tutti e non della legge, anche la tradizione e l’affettività non sono più appartenenti alla sfera privata, sono anche essi nuovi riti collettivi.
Il materiale riguardanti il tema del grano e del pane , un video e un testo sulle “coccive”, proposto dal settore demoetnoantropologico e beni immateriali della
Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Salerno e Avellino
, è stato prodotto all’interno del progetto PiantaGrani, un contenitore narrativo che riguarda il cibo, il territorio e tutte le forme, tra cui l’arte, che collegano cibo, ritualità e tradizione. Il progetto nasce e si sviluppa dall’idea di @
Loredana Parisi
sociologa esperta in comunicazione e appassionata di recupero delle tradizioni gastronomiche.
Il racconto del grano e del pane di PiantaGrani parte dai campi dell’Alta Valle del Sele, situati nell’area dei Sperlonga, nelle fertili “Terre di santa Maria” come popolarmente definite, dove insiste il Santuario della Madonna della Sperlonga noto per gli affreschi bizantini, per i resti integri di celle di monaci italo-greci e per il sorgere sulla roccaforte che dominava una antica cittadella a ridosso di un ruscello.
1.Il video racconta l’evento Dialoghi di storia walking tour:la mietitura a mano del grano presso il Santuario della Chiesa della Sperlonga di Palomonte, accompagnata dal seminario itinerante sulle tracce del Monachesimo italo greco a cura della prof.ssa Rosanna Alaggio, Università degli studi del Molise.
2.Testo “Le cuccive di Maggio”:
di @
Simone Valitutto
– Antropologo
Nel testo è raccontata l’origine e la motivazione antropologica di un piatto fondamentale sulla tavola primaverile dei contadini.
Le cuccive di Maggio:
Le cuccive (r’ cucciv r’maggio) sono un piatto tipico della cucina di Palomonte, paese della Valle del Sele, composto da cereali e legumi bolliti e conditi, preparato in occasione del Primo Maggio. Selezionati e messi in ammollo nei giorni precedenti, i diversi elementi che compongono questo piatto dal forte significato simbolico sono i tasselli di un mosaico di sapori e colori che formano un piccolo capolavoro della cucina contadina che rischia di scomparire.
Varianti delle cuccive (o cuccìa, dal greco antico κόκκος = grano) sono presenti in tutte le regioni dell’Italia meridionale e preparate in occasione di festività invernali e tardo primaverili. In Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia e Campania la consumazione di cereali non macinati e legumi è collegata al ciclo del grano, alla necessità di rispettarne il seme e propiziarne la germogliazione prima e la morte in spiga poi. La celebrazione della fase vitale e simbolica che ruota attorno ad un elemento agrario fondamentale per le comunità agricole tradizionali – il grano, appunto – si riscopre così anche sulla tavola, tramandato da leggende o testimonianze familiari. I giorni durante i quali si consuma questa pietanza (alla base di dolci o nella forma di zuppa e insalata) variano da regione a regione e sono calendarizzati a partire dal periodo dei santi e dei morti (31 ottobre, 1 e 2 novembre), passando per San Nicola (6 dicembre), Santa Lucia (13 dicembre), San Biagio (3 febbraio), San Teodoro (17 febbraio), festività dei defunti nei paesi di rito bizantino (sabato precedente il Carnevale), periodo pasquale, arrivando al Primo Maggio. Antropologi e studiosi, analizzando la presenza di pietanze analoghe nel bacino del Mediterraneo e nelle regioni caucasiche, ne ravvedono le origini indoeuropee di un rituale legato all’interdizione di macinare il grano per risparmiargli ulteriore violenza in vista di una prospera mietitura. Il grano, il cui percorso da seme a frutto è affidato al controllo di santi e defunti, mangiato intero conserva la sua fecondità in fieri e assume il ruolo di cibo sacro, da far germogliare nelle pance dei contadini che l’hanno seminato e che lo mieteranno. Discorso analogo è quello dei legumi. Fagioli, ceci, piselli e fave dalle forme e colori differenti, oltre a bilanciare i valori nutrizionali dei cereali, fanno delle cuccive una summa di immagini e significati simbolici (basta ricordare, ad esempio, il ruolo delle fave nella filosofia pitagorica, elemento di congiunzione tra i morti e i vivi per via della pianta che non ha linee di separazione tra la terra e il frutto).
In Italia questa modalità di cottura e consumo di cereali e legumi è legata alla presenza di comunità monastiche di origine orientale che qui, nel Medioevo, l’adottarono e la diffusero. A Palomonte la presenza dei monaci italo-greci è ancora oggi espressa magnificamente dal santuario bizantino della Madonna di Sperlonga la cui prima traccia storica è del primo secolo dopo il Mille, ancora oggi circondato, in parte, da rigogliosi campi di grano.
A Palomonte le cuccive si preparano il Primo Maggio in vista dell’esplodere della bella stagione e in relazione ad antichi rituali agrari di cui oggi si sono purtroppo perse le tracce. Il grano, il granone e i legumi messi in ammollo nei giorni precedenti in acqua abbondante sono gli ultimi conservati nelle dispense e nei granai, hanno superato l’inverno e vengono raccolti anche tra parenti o vicini di casa per raggiungere una quantità tale da poter essere poi condivisa in segno di buon augurio. Passata la notte nell’acqua, il miscuglio di cereali e legumi si mette a bollire in una grossa pentola per diverse ore a fuoco lento, scolati i semi e fatti raffreddare si condiscono a piacimento con sale, olio extravergine d’oliva, aceto, origano. Si dice che mangiare questo piatto protegga dall’attacco a corpi e piante dei moscerini e rafforzi il processo di maturazione delle spighe. Oggi, venuti a mancare tanti elementi arcaici del rapporto fra l’uomo e il ciclo naturale, tale piatto è sempre più in disuso, preparato soprattutto dalle anziane che ne ricordano l’alto valore simbolico e nutrizionale.
Questo piatto antico, va rifatto germogliare, va riportato sulle tavole e condiviso come un tempo; se in alcuni paesi è al centro di sagre e riproposizioni nei menù di ristoranti e agriturismi, slegati dal contesto rituale, occorre ripartire dal vero significato di questo miscuglio di semi cotti e conditi per rimettere in circolo la condivisione e la fertilità tra diverse culture, diverse epoche, diversi sapori.
Testo di Simone Valitutto

 







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