Quarant’anni fa in una bellissima serata, particolarmente calda per essere novembre, un terremoto colpì violentemente una vasta area dell’appennino meridionale, posta a scavalco tra la Campania e la Basilicata, sconvolgendo intere comunità nei loro affetti più profondi e devastando gli abitati.
E’ importante tenere sempre viva la memoria di quell’evento e quanto ne è seguito, soprattutto, per chi non lo ha vissuto direttamente (per gli altri il ricordo è indelebile).
Nel quarantennale, che ora ricorre, rammentare l’operato determinante che svolse la Soprintendenza e ripercorrere quei luoghi può servire a riflettere anche sul futuro del territorio dell’alta Irpinia e del medio/alto Sele oltre che ad evidenziare criticità, metodologie e risultati utili per pervenire ad una tutela, effettiva e reale, del patrimonio culturale in zona sismica.
La Soprintendenza per le province di Salerno e Avellino fu istituita nel 1981 (rendendola autonoma dalla Soprintendenza ai Monumenti per la Campania con sede a Napoli) proprio per meglio fronteggiare la gravissima situazione post-sisma e l’opera connessa alla ricostruzione e venne affidata all’arch. Mario De Cunzo la cui vivacità culturale, operosità e decisionismo divennero, molto presto, noti a tutti oltre che nella zona terremotata.
Da subito fu intensa l’azione per sottrarre alle ruspe non solo i monumenti, ma anche l’edificato minore tradizionale, e per portare in salvo le opere storico-artistiche.
L’attività sui centri storici nel loro insieme si intensificò a seguito dell’emanazione della Legge speciale per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti da quel sisma n. 219 del 14/5/1981 la quale, a riguardo, contemplava disposizioni importanti e strumenti operativi innovativi se rivolti all'interesse pubblico come nel caso in specie. Bisognava, però, non perdere tempo perché nei Comuni epicentrali si era avviato il traumatico processo di dove e come ricostruire, cominciavano ad arrivare i finanziamenti e, di conseguenza, divenivano pressanti le azioni anche rispetto ai beni culturali. Costantemente le scelte da prendere erano nette: salvaguardare la storia dei luoghi, collocandola a fondamento della rinascita dei medesimi, o fare tabula rasa del passato!
Al contempo, nell’edificato storico ai danni causati dal sisma, già ingenti di per sé, si aggiunsero quelli conseguenti al perpetrarsi delle demolizioni, affrettate ed indiscriminate, agli interventi improvvisati con l’ordinanza commissariale n. 80/1981, all'uso spregiudicato del cosiddetto limite di convenienza (di cui al D.M. del 31/10/1981 con il quale qualsiasi tecnico privato, dimostrando il vantaggio economico della demolizione e ricostruzione dell'immobile di sua competenza, poteva non rispettare l'intervento di riparazione previsto nel Piano di Recupero) ovvero all’abbandono optando per la delocalizzazione (incentivata, di fatto, dalla stessa L. n. 219/1981).
Le battaglie che ne sono seguite per lunghi anni sono state davvero improbe. Il dopo-terremoto, infatti, fu vissuto, soprattutto nei paesi del cosiddetto cratere, alla stregua della catastrofe bellica come, d’altronde, emerge anche dalle risposte politiche e dalla legislazione emanata successivamente al sisma.
La Soprintendenza decise sia di operare concretamente per la rinascita dei centri storici, sia di affrontare tematiche generali quali la prevenzione sismica del territorio, la revisione della normativa antisismica per gli edifici allora in vigore e, in particolar modo, di quella mirata agli edifici in muratura ed a quelli con tipologia specialistica ovvero l’approfondimento delle tecniche di intervento per il consolidamento statico dell’edilizia storica. Per svolgere tutto ciò la scelta strategica e coraggiosa che De Cunzo intraprese fu quella di costituire, nel novembre del 1981, un Ufficio di Piano per il recupero dei centri storici terremotati dislocato sempre a Sant'Angelo dei Lombardi dove l’Amministrazione Comunale, già a settembre, aveva adottato il Piano di Recupero del centro storico redatto congiuntamente con la Soprintendenza e l’Associazione Nazionale talia Nostra. L’indimenticabile Antonio Iannello ne impostò il metodo di lavoro coordinandolo solo per un breve periodo: è stata la prima ed unica volta che un Ufficio statale e, in particolar modo, una Soprintendenza, ha curato la gestione, la progettazione e l'attuazione degli strumenti urbanistici di alcuni dei centri storici dell’area epicentrale di un sisma lavorando insieme alle Amministrazioni Comunali e relazionandosi sia con le comunità, sia con il mondo scientifico.
L' “Ufficio di Piano” operò intrepidamente sino all'estate del 1993 provvedendo a:
- esaminare i Piani di Recupero, adottati dai diversi Comuni (così come previsto dalla legge n. 219/1981 sulla ricostruzione) rilasciandone il parere di competenza;
- formulare proposte alternative per il riassetto urbanistico dei paesi;
- gestire l’attuazione del Piano di Recupero di Sant’Angelo dei Lombardi;
- progettare ed eseguire il recupero di varie unità minime di intervento del Piano di Recupero, ma anche di altre realtà, delegate ex lege n° 219/1981 dai singoli proprietari, utilizzando i contributi che la medesima normativa assegnava agli stessi;
- operare concretamente per la ricomposizione dei paesi nel rispetto della loro storia.
La presenza della Soprintendenza fu sempre più apprezzata dalle popolazioni che, poco alla volta, considerarono la difesa dei centri storici non un regime di vincoli da subire, bensì una tutela di diritti (soggettivi ed oggettivi) da esigere, una riappropriazione della propria identità culturale ed una scelta che avrebbe migliorato la qualità della loro vita.
Il parere vincolante della Soprintendenza sui Piani di Recupero consentì di evitare, o quantomeno di limitare, numerosi scempi urbanistici e ciò favorì il malcontento in coloro (alcuni politici, costruttori, tecnici, ecc.) che avevano fini speculativi o interessi meramente economici e che, di conseguenza, ci percepirono, esclusivamente, come un ostacolo o, nel migliore dei casi, un organo di controllo non ricattabile, né influenzabile.
Con l'emanazione della Legge n. 187/1982, che limitò, nell’esame dei Piani di Recupero, la valutazione della Soprintendenza agli edifici vincolati ai sensi della Legge n. 1089/1939 (molto rari in quelle realtà) interi nuclei abitati rimasero esclusi dalla tutela, assicurata inizialmente dalla legge sulla ricostruzione, e le difficoltà per la loro salvaguardia aumentarono. Si andò, comunque, avanti, individuando di volta in volta nuove strategie, e benché l'operato dell'Ufficio di Piano, dal 1985, si estese anche alla tutela paesaggistica: indubbiamente i risultati complessivi del lavoro svolto potevano essere migliori (soprattutto rispetto all'aspetto formale di alcune costruzioni), ma in situazioni così difficili, quanto conflittuali, alcuni limiti ed errori sono inevitabili.
Per poter modificare alcuni Piani di Recupero, che stravolgevano particolarmente il tessuto urbano ed edilizio dei centri storici preesistenti o che ne prevedevano una consistente delocalizzazione, l'Ufficio di Piano appose i vincoli (ex lege 1089/1939) a numerosi edifici, si difese da frequenti cause attivate (dai privati e/o dalle Amministrazioni Comunali) ai Tribunali Amministrativi Regionali o intervenne per “smontare” alcuni studi geognostici e sismici (o per dare agli stessi una giusta collocazione) con il C.N.R. collaborando con il Progetto Finalizzato Geodinamica prima e con il Gruppo Nazionale di Difesa dai Terremoti dopo. Si trattava di azioni alquanto impegnative e che, ovviamente, non poterono essere svolte a tappeto, bensì furono riservate ai casi più gravi.
L'operato di tale Ufficio distaccato della Soprintendenza (del quale nel corso degli anni furono aperte sedi anche a Caposele ed a Calitri) fu, perciò, certamente più incisivo in alcune realtà come nei casi di Avellino, Caposele, Calitri, Conza della Campania, Sant'Andrea di Conza e Morra De Sanctis oltre a Sant'Angelo dei Lombardi.
Quel terremoto e la frequentazione dei luoghi fece scoprire, anche alla stessa Soprintendenza, l’inimmaginabile ricchezza del patrimonio culturale di quella zona sia ubicato negli abitati, che diffuso sul territorio: castelli, palazzi gentilizi, conventi, abbazie, masserie, mulini, ecc.. Da allora la conoscenza di tale patrimonio si è sempre più approfondita e resa nota realizzando numerosi restauri e/o avviandone il recupero (che merita di essere portato a termine), ma cercando sempre di consentirne la frequentazione pubblica.
Per concludere e ripensando alla zona epicentrale di quel sisma dopo quarant'anni si percepisce immediatamente che le scelte fatte dalla Soprintendenza, soprattutto quelle di salvaguardare i nuclei storici e le molteplici emergenze architettoniche-ambientali dislocate sul territorio, sono state vincenti. Nonostante la forte ripresa dell'emigrazione e la grave crisi occupazionale, il tempo ha, infatti, dato ragione al nostro operato rendendo evidente che:
- la conservazione dei luoghi con i relativi beni culturali e paesaggistici ha, già di per sé, un interesse ed un valore inestimabile;
- il recupero dei centri storici è determinante per la riappropriazione dell'identità culturale da parte delle diverse comunità e, di conseguenza, il riconoscersi della gente nei “nuovi” paesi, essenziale per il benessere fisico e per la qualità della vita delle stesse popolazioni;
- il recupero di un centro storico è attuabile solo con un coordinamento pubblico chiaro che abbia un rapporto diretto con gli abitanti, gli operatori e le diverse strutture tecniche operanti sul territorio (CNR, Centri di ricerca, Università, eccetera) e che preveda una collaborazione fattiva tra le diverse Amministrazioni pubbliche (locali e statali);
- il patrimonio edilizio storico può essere adeguato alle esigenze sismico-igienico-funzionali senza stravolgere i valori storico-architettonico-ambientali. Determinante, in tal senso, è stato il contributo dato per rivedere la normativa sismica in modo da salvaguardare realmente l’architettura storica rispettandone le tecniche costruttive peculiari;
- la ricomposizione dei centri storici è nell'insieme competitiva, anche economicamente oltre che socialmente, rispetto alla realizzazione di nuove zone residenziali e favorisce l'economia degli stessi luoghi;
Infine, molto resta da fare per la tutela e qualificazione del paesaggio compromesso particolarmente dall’esecuzione dei poli industriali (molti dei quali in uno stato di totale abbandono) delle opere infrastrutturali annesse (spesso spropositate e male realizzate): a riguardo è necessario programmare un’azione complessiva mirata alla bonifica ed al ripristino, per quanto possibile, della naturalità e delle caratteristiche morfologiche tipiche del territorio.
Nora Sciré
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