Pianoro di Verteglia
Il contributo che il giurista può fornire nell’ambito dell’azione corale tesa a promuovere la cultura del paesaggio, a mente del Decreto Ministeriale 7 ottobre 2016 n. 457, non può prescindere da una riflessione preliminare sul significato profondamente innovativo dell’art. 9 della Costituzione che impone alla Repubblica di tutelare il paesaggio ed il patrimonio storico e artistico della nazione.
La disposizione che si deve alla lungimiranza di Concetto Marchesi e di Aldo Moro, giunse all’attuale formulazione dopo ampie discussioni e ben nove diverse versioni.
La contrastata scelta di inserirla tra i principi fondamentali della Carta Costituzionale art.1/12, è il frutto della consapevolezza dell’alto valore etico politico sotteso alla delicata missione di custodire e tramandare alle future generazioni tesori naturali fortemente caratterizzanti il Paese indipendentemente dalla loro ubicazione territoriale. Ed è il caso di aggiungere che, secondo un orientamento espresso dalla Corte Costituzionale, la tutela in argomento non può essere ridimensionata neppure dal procedimento di revisione costituzionale previsto dall’art. 138 della Carta.
L’art. 9, letto in modo coordinato con altre disposizioni costituzionali - art.2 e 32 rispettivamente sul riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo e sulla tutela della Salute - supera la prospettiva meramente estetica concepita dalla legge Bottai n. 1497 del 1939 e consente di approdare ad una nozione di paesaggio più ampia codificata nell’art. 131 del codice dei beni culturali e del paesaggio - decreto legislativo 22/1/2004 n. 42 modificato dall’art. 2 co I lett.a - del decreto legislativo 26/03/2008 n.63: per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, nazionale n.d.r., il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni.
C’è da chiedersi dopo tali considerazioni se l’art.9 sia stato attuato in modo adeguato. Intanto va osservato che sono state disattese le intenzioni della maggior parte dei Costituenti, desumibili dai lavori parlamentari, secondo cui le Regioni, ritenute sensibili agli interessi clientelari e localistici, non avrebbero dovuto avere alcuna competenza in materia ad esse, invece, attribuite a partire dalla legge 22/7/75 n. 382.
Ciò precisato, va detto che per intuibili motivi di spazio si omette di argomentare in ordine alle carenze dell’azione amministrativa e giudiziaria non sempre riconducibili alla volontà dei singoli operatori e ci si limita ad una sintetica esposizione della vigente legislazione penale.
Il punto di riferimento fondamentale è costituito dal citato codice dei beni culturali e del paesaggio.
Trattasi di un testo normativo che si pone in linea di sostanziale continuità sia con l’abrogato T.U. delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali - D.lg. 29/X/1999 n.490 - che con la legge Galasso - L. 8 agosto 1985 n. 431 - ancora in vigore limitatamente agli artt. 1- ter ed 1- quinquies.
Il codice nel testo originario, art. 181 co 1, recepisce infatti l’impianto sanzionatorio della legge n.431 che promuovendo una meritoria svolta, coerente con il dettato costituzionale, configura come reato formale, punito con l’arresto e l’ammenda, ogni intervento svolto in difetto di autorizzazione o in difformità di esso, su beni paesaggistici tutelati non solo sulla base di specifici provvedimenti, ma anche ex lege.
Successivamente, per effetto della legge, 15/12/2004 n. 308 all’art. 181 co 1 viene aggiunto il comma 1 bis. Tale disposizione la cui operatività in seguito verrà limitata dalla sentenza n.56/2016 della Corte Costituzionale, eleva alcune condotte, cui si è fatto sopra riferimento, al rango di delitto punito con la reclusione da uno a quattro anni.
E’ agevole cogliere il maggior rigore della normativa esaminata rispetto al disposto dell’art. 734 c.p. secondo cui è punito con la sola ammenda da euro 1.032 a euro 6.197 chiunque mediante costruzioni, demolizioni, o in qualsiasi altro modo, distrugge o altera le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell’Autorità.
Ma vi è di più: il codice penale non consente al giudice in caso di condanna, di ordinare il ripristino dello stato dei luoghi.
L’art. 181 co II del codice dei Beni Culturali e del Paesaggio prevede, invece, espressamente tale misura.
C’è da augurarsi che nel medio periodo gli uffici del P.M. si dedicheranno con maggiore impegno alla concreta attuazione dell’ anzidetta misura mediante l’utilizzo delle spese processuali ex art. 5 co1 lett g del D.P.R 30/5/2002 n. 115.
Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?
Grazie art.9, grazie On. Galasso.
Dott. Aldo De Chiara
già Avvocato generale della Repubblica a Salerno
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