A cura del Prof. Alberto Granese
Nel Paradiso nel cielo di Saturno Dante incontra, tra gli spiriti contemplanti, Benedetto da Norcia,480-543, fondatore dell’Ordine dei Benedettini, il maggiore rappresentante del monachesimo occidentale e Patrono dell’Europa, con il quale il poeta stabilisce subito un rapporto di grande sintonia, chiamandolo padre. Nel 528, Benedetto si ritirò a Montecassino, vi convertì al Cristianesimo le popolazioni pagane, fondò la più famosa abbazia del Medio Evo ed emanò, com’è noto, la Regula, che associa vita attiva e vita contemplativa, lavoro e preghiera. Dante, secondo una consolidata tradizione esegetica, avrebbe attinto notizie sulla vita di San Benedetto dal secondo libro dei Dialoghi di Gregorio Magno, 540-604; tuttavia, pur non escludendo questa ipotesi, da un’indagine più attenta ai particolari lessicali e alle circostanze storiche e geografiche emerge un’altra, sorprendente fonte.
Leggiamo i versi che il poeta fa pronunciare a San Benedetto con un inizio analogo al canto dedicato a San Francesco per indicare topograficamente la posizione di Assisi, Paradiso, XI 45-49; in questo caso, si tratta di una propaggine più bassa del monte Cairo, sulle cui pendici è Cassino: Quel monte a cui Cassino è ne la costa / fu frequentato già in su la cima / da la gente ingannata e mal disposta; / e quel son io che sù vi portai prima / lo nome di colui che ’n terra addusse / la verità che tanto ci soblima; / e tanta grazia sopra me relusse, / ch’io ritrassi le ville circunstanti / de l’empio còlto che ’l mondo sedusse, Paradiso, XX 37-45. Alcune espressioni qui usate da Dante trovano uno stretto collegamento con un Carme in latino. Oltre alla somiglianza di alcune espressioni, colpiscono altri particolari: nel carme latino il Monte Sinai, dove con un tuono Dio si rivelò a Mosé, vera figura-archetipo, e gli consegnò le Tavole della Legge, viene esplicitamente paragonato a Montecassino, in cui fu emanata la Regola; Dante coglie questo collegamento, tanto da concludere il canto, che precede il suo incontro con San Benedetto, con un grido fragoroso da lui avvertito come un tuono XXI 142. Che il poeta abbia volutamente fatto questo accostamento è anche comprovato dalla sua preghiera a San Benedetto di fargli vedere il viso, ricevendone un rifiuto, proprio come Mosè chiese a Dio di mostrargli il Volto, ma l’Altissimo impose un divieto. Altra sorprendente ascendenza: la riflessione di San Benedetto sulla debolezza della natura umana, che cede alle lusinghe dei sensi la carne d’i mortali è tanto blanda, v. 85, dipende direttamente dal verso 85 del carme sulla carne umana, che non rimane insensibile alle lusinghe nulla manet sine labe caro.
Qual è l’autore di questo carme latino, i cui versi, soprattutto 95-104 del trentaduesimo, Dante dovette tenere sicuramente presente al momento di narrare il suo incontro con Benedetto da Norcia? L’autore è Alfano I, 1015 o 1020-1085, monaco a Montecassino, abate del monastero di San Benedetto a Salerno, dal 1058 arcivescovo di questa città, dove fu anche medico, compositore di inni sacri, soprattutto ispiratore e guida della costruzione del Duomo di San Matteo, eretto da Roberto il Guiscardo e consacrato nel 1084 dal grande papa, ivi sepolto, Gregorio VII. Alfano è, dunque, un poeta che rappresenta l’identità stessa, religiosa, civile, culturale, di Salerno, la tradizione della Scuola Medica e del suo Santo Patrono: inscindibile dalla storia stessa della città. E la circostanza che il Sommo Poeta abbia tenuto presente i versi del suo carme nel rappresentare San Benedetto, figura fondamentale per la civiltà occidentale, potrebbe essere intesa come un’attenzione che, pur non essendo mai sceso nel suo peregrinare da esule oltre Roma, ha voluto indirettamente rivolgere a Salerno, attraverso una sua personalità emblematica.
Dante, mai stato a Salerno e a Montecassino, poteva conoscere i Carmi di Alfano? Certo. Il poeta era assiduo frequentatore degli eremi benedettini, come Camaldoli, San Benedetto dell’Alpe, Fonte Avellana, tutti ricordati nella Divina Commedia, e lettore partecipe e attento degli scritti ispirati alla Regola di San Benedetto. Nell’immensa rete, a livello europeo, di tutti i monasteri benedettini i testi si diffondevano, circolavano e venivano facilmente conosciuti, divenendo centro di profonde meditazioni: ecco perché Dante, pur avendo sotto gli occhi anche la biografia di Gregorio Magno, ha colto con geniale intuito gli aspetti più significativi dei versi in lode di San Benedetto composti dal grande vescovo di Salerno, Alfano I.
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