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Sarte e cucitrici: il lavoro femminile nell’Avellino di fine Ottocento #laculturanonsiferma #festadeilavoratori


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Nell’Avellino di fine ‘800 erano pochi i lavori che le donne potessero esercitare in totale autonomia. Le vicende storiche e  sociali succedutesi nel  corso del XIX secolo e  l’ascesa sociale di borghesi benestanti, un ceto in qualche misura più dinamico rispetto alla società del passato, favorì l’incremento dell’attività sartoriale, come dimostrano gli inserti pubblicitari presenti nei più diffusi giornali a tiratura locale dell’epoca. Molte sarte e modiste si formavano in famosi ateliers napoletani, romani e parigini dove imparavano l’arte del taglio perfetto, della confezione e delle rifiniture. Sicuramente le sarte avellinesi erano aggiornate sugli ultimi dettami della moda, importata da Parigi tramite riviste femminili quali Le courrier des dames, Il Tesoro delle famiglie, Le moniteur des Dames et des Demoiselles, Femina.

Achille Martelli, pittore calabrese che nella terra irpina trovò l’ispirazione per nutrire il suo spirito creativo e, nel contempo  attento osservatore del costume avellinese, in due dipinti esplora il mondo dei lavori femminili di sarte e cucitrici. Nel Venditore ambulante in sartoria il pittore racconta l’interno di una sartoria per donne animato dall’arrivo di un venditore di galanterie.  Descrive le sartine - la bionda, la bruna, la civetta, la timida -  accomunate dal lungo,  faticoso e noioso lavoro d’ago, il monotono rumore della macchina per cucire, e le chiacchiere, le tante chiacchiere che colorano il mondo femminile.  In mezzo a queste donnine, che si agitano – chi vivono ancora di sogni modesti e di sorrisi dolci - capita, per caso, un tipo, noto a tutti, ma sempre nuovo per la sua barba crespa e la zazzera piovente sul collo sudicio, quasi una testa di eroe.
Questo tipo, di cui il popolo non può vivere, senza vederlo tutto il giorno gironzare per le piazze – pe’ caffè – per tutti i pubblici ritrovi – è il famoso don Gennaro – il venditore ambulante di fiammiferi, sapone, filo ecc.- il vecchio soldato che pugnò a Sapri.

Il dipinto, in mostra alla Esposizione Nazionale di Palermo del 1891 ebbe dall’artista il titolo di O Galantariaro, titolo presente anche in un articolo della Sentinella Irpina del 28 maggio 1889, dal quale ricaviamo l’informazione utile per la datazione della tela e nel testamento dell’artista.
Con il dipinto La cucitrice, la sarta in bianco cioè specializzata nella biancheria intima, ma anche la ricamatrice, il Martelli ci mostra un altro aspetto dell’attività sartoriale.  Le cucitrici ad Avellino e provincia di solito si formavano presso i laboratori che sorgevano presso i monasteri femminili e gli orfanotrofi. Esse erano specializzate soprattutto nella preparazione del corredo che era parte integrante della dote delle giovani da marito. Il corredo era anche simbolo della posizione sociale di appartenenza in quanto, valutato in numero di capi, rappresentava un vero e proprio investimento da parte delle famiglie.

Nella realizzazione della biancheria intima le cucitrici facevano un largo uso di merletti per ornare capi come corsetti, matinée, mutandoni, sottovesti, che sebbene pudicamente nascosti sotto le vesti, dovevano essere ugualmente eleganti ed alla moda. Ad Avellino si producevano merletti di buona qualità realizzati presso l’Orfanotrofio provinciale dove, a cura della Camera di Commercio,  nel 1876 era stata istituita una vera e propria Scuola, presente con i suoi prodotti di Merletti in filo e seta all’Esposizione Universale di Parigi del 1878.
L’arte di lavorare il pizzo era così diffusa che un artista come Gioacchino Toma pubblicò, nel 1882, la prima parte delle Tavole di disegno per merletti, molto pubblicizzata in città e in provincia e vendibile presso la Tipografia Tulimiero e C. di Avellino. Qui, dove la lavorazione del merletto è molto generalizzata, e che nell’ Orfanotrofio femminile- mercè le solenti cure della Camera di Commercio – divenne una scuola di speciale insegnamento, con resultati così felici da meritare encomio e premi alla recente mostra di Milano, il metodo e i disegni del Toma possono essere bene interpretati e molto giovare alle lavoratrici che, con tal guida, senza più aggirarsi nella continua ripetizione o trasformazione dei medesimi disegni, potranno produrre cose nuove, artistiche e di gusto moderno Gazzetta di Avellino, 21 giugno 1882.

I  due dipinti che rientrano nella collezione  della Pinacoteca Provinciale di Avellino sono parte della narrazione storica di Avellino e dell’Irpinia tra ‘800 e ‘900 e nel contempo una visione emozionale della vita reale in una età di profondi cambiamenti politici, sociali e culturali. Sono ascrivibili  alla  fase matura della produzione di Achille Martelli e ci introducono nella società cittadina che aveva accolto il pittore con grande rispetto e considerazione, grazie anche al suo sodalizio artistico con Michele Lenzi. I due artisti , entrambi allievi del Mancinelli prima, e del Palizzi e del Morelli poi, si erano  conosciuti nel 1860 a Napoli dove entrambi avevano frequentato l’Istituto di Belle Arti.

 

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