Una pudica Vergine Maria e un compunto Arcangelo Michele sono gli attori dell’Annunciazione della chiesa di San Nicola di Summonte, un raffinato dipinto su tavola ambientato all’interno di una casa gentilizia, uno spazio costruito su piani larghi e squadrati, prospetticamente delineati, che pur rimandando ai canoni del disegno architettonico di età rinascimentale, resta in fondo uno spazio poetico, sacro, per la presenza del fondo oro, vagamente irreale. Il dipinto pervaso da un luminoso plasticismo, da un fulgido cromatismo ed una preziosa eleganza è un raffinato esempio di produzione artistica rinascimentale, di ambito culturale napoletano, datato nella zona superiore sinistra, sul fondo oro, 1513.
Il tratto sicuro ed incisivo, così come la limpidezza della materia pittorica e la finezza del segno, fanno ipotizzare la mano di un pittore di notevole livello artistico, immesso nel ciclo produttivo in un periodo di profonde trasformazioni artistiche, partecipe alla temperie culturale dell’età rinascimentale, completamente padrone della tecnica del dipinto a tempera su tavola, anche se attardato su motivi maggiormente documentati nella seconda metà del XV secolo.
L’apparato scenografico, la scelta dei colori e delle dorature, la minuzia della descrizione dei particolari e la connotazione fisionomica di Gabriele e Maria hanno precisi riferimenti a modelli artistici fiamminghi. Ma la raffinatezza della decorazione del manto e delle bordure della veste della Vergine, la purezza dell’ovale dei volti, il velo acconciato a pieghe sui capelli di Maria, appartengono al linguaggio dall’arte catalana, giunta a Napoli nella seconda metà del Quattrocento con la dominazione Aragonese. Il motivo decorativo del manto è simile a quello della Madonna con Bambino, Sant’Elia e San Bartolomeo, datato 1479, attribuito ad Angelo Antonello da Capua, collocato nella chiesa di S. Elia di Furore. L’atmosfera del dipinto rimanda al Maestro dell’Adorazione di Glasgow che Riccardo Naldi ha proposto di identificare con Alessandro Buono, giovane pittore ma già indicato come magister, quando nel 1512 collaborò con il padre Pietro Buono alla realizzazione di una pala d’altare per una chiesa di Laurino nel Cilento.
Due personaggi animano la scena: l’arcangelo Michele, con le lunghe ali e le piume dai luminosi colori cangianti che ricordano le figure celesti del Beato Angelico, è abbigliato come un gentiluomo di corte, con vesti e mantello nelle decise tonalità verde e rosso sottolineate da compositi panneggi in una profusione di pesanti velluti e sete bordati di passamanerie dorate; la Vergine è una nobile dama rivestita di preziose vesti, la testa ricoperta per pudicizia da un velo grigio argenteo, il mantello giallo ocra in serico broccato impreziosito da motivi a melograno e pigna di retaggio orientale, mediati nel medioevo per la valenza simbolica cristiana nelle decorazioni artistiche siciliane, presenti nei dipinti di influenza catalana e ripresi anche nella produzione di tessuti dell’area senese del XV secolo.
Il gesto dell’Arcangelo nel porgere il giglio alla Vergine annunciandole di essere la prescelta per dare alla luce il Figlio di Dio, esprime il mistero dell’evento divino con grande grazia ed eleganza. L’anonimo artista imprime una profonda delicatezza pittorica nel tratteggiare il volto e le diafane mani della Vergine, quasi incredula e timorosa nell’ascoltare le parole di Gabriele. Le figure si stagliano con i loro colori decisi e luminosi sul fondo aureo creando un contrasto cromatico di forte impatto visivo, teso ad evidenziare ogni singolo dettaglio del dipinto. I particolari, infatti, - come lo scorcio della camera con il letto con le bianche cortine, il pavimento con le mattonelle geometriche, il pilastro scanalato con capitello corinzio decorato con foglie d’acanto - sono visualizzati da una vivida luce che anima, ma poi subito cristallizza i colori.
Nel 2008 Raffaella Spirito, con l’alta sorveglianza della Soprintendenza, ha eseguito con molta perizia il restauro conservativo ed estetico della tavola, restituendola come tesoro da conservare per le future generazioni alla comunità di appartenenza.
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