La vita mondana avellinese alla fine del XIX secolo viveva una frenetica attività: l’aristocrazia, la nuova borghesia, gli ufficiali dell’esercito del Regno, i funzionari pubblici, non perdevano occasione per divertirsi e fare festa. La musica rivestiva nelle riunioni mondane un ruolo primario, come è testimoniata dal dipinto su tela i Suonatori datata 1879 e firmata da Achille Martelli, in quegli anni testimone ed attento osservatore dei costumi del capoluogo irpino. Negli anni vissuti ad Avellino, nella casa di Via delle Oblate, n°22, all’ultimo piano di Palazzo Salomone - una dimora ospitale molto frequentata da amici come Vittorio Imbriani, Filippo Palizzi, Gioacchino Toma, Nicola Valdimiro Testa e da tutti gli intellettuali liberali con i quali condividevano gli ideali patriottici e le affinità elettive - i dipinti del Martelli furono sempre più improntati al verismo palizziano. Scene di interni, ambienti popolari e domestici, lavoro dei campi, ritratti e natura furono per lungo tempo i soggetti preferiti dal Martelli, condivisi dal Lenzi, amico e compagno di vita e di sperimentazioni artistiche .
Il dipinto i Suonatori, inserito nel filone della narrativa del quotidiano, del racconto per immagini di una varia ed eterogenea umanità , è ambientato in un interno di una casa signorile, un salone delle feste, sontuosamente arredato. In primo piano è raffigurato un suonatore di violino, di spalle seduto un suonatore di chitarra, intenti ad eseguire un brano; sul lato destro, in penombra, un terzo personaggio, comodamente adagiato in una poltrona, sembra seguire con svogliato interesse la sonata. I tre uomini, in marsine e parrucche incipriate, rimandano ad un tempo passato, forse ironicamente descritto dall’autore, o ad una festa di Carnevale, ricorrenza celebrata non solo con manifestazioni della tradizione popolare – Zeza, carri, mascherate – ma anche con eleganti ricevimenti mondani.
Alcuni oggetti presenti nel dipinto sono simbolicamente evocativi: l’orologio a pendolo, posto ad adornare la barocca consolle dorata, rimanda alla perenne ineluttabilità dello scorrere del tempo e della vita, così come lo specchio, legato idealmente al mito di Narciso, induce a riflettere sulla vanità della bellezza esteriore, destinata nel tempo al declino ed alla distruzione. Il tendaggio posto sullo sfondo, incorniciato dall’arco e dalle colonne decorate in fregi dorati, oltre che fungere da espediente tecnico per riempire uno spazio della tela, serve a concentrare la luce nella parte centrale del dipinto, esaltando l’effetto chiaroscurale dei particolari che caratterizzano i personaggi. Di forte impatto visivo risulta la zona d’ombra creata dal tendaggio tirato da un lato, che genera una sorta di aspettativa per l’ignoto che si cela nel buio. Il dipinto è reso vivace dai colori caldi e pastosi stesi in fluenti pennellate sul ricco tendaggio e dalla luce che impatta sulla marsina bianca del chitarrista e sui pantaloni perlacei del suonatore di violino e sulle candide calzette dei tre personaggi.
Il violino e la chitarra usati dai due suonatori, insieme al pianoforte, alla viola e al violoncello, erano gli strumenti più usati per far musica nelle feste e nei trattenimenti settimanali della borghesia e nobiltà avellinese. Nelle feste più elitàrie, quelle ad esempio tenute dal Prefetto, dalle famiglie nobiliari o dalla alta borghesia cittadina si ballava al suono di una orchestra, disposta su un palco appositamente costruito. Molto ammirata e richiesta nelle case più altolocate alla fine del XIX secolo l’orchestra composta del maestro Luigi Prisco al piano, Mario Pagano violino solista, Giuseppe De Masellis primo violino, Raffaele Buonerba violoncello, Giovanni Capuano contrabasso, Saverio Pagano e Alfonso D’Agostino secondi violini.
Era consentito dal galateo e dalle convenzioni sociali che signore e signorine si esibissero a cantare e suonare nelle riunioni mondane e faceva parte dell’educazione delle donne di buona famiglia imparare a suonare uno strumento e a cantare. Il repertorio era per lo più classico, Gluch, Mozart, Verdi, Pergolesi, Donizetti, Denza, Chopin. La romanza era il genere musicale preferito nelle dimore avellinesi, luoghi d’incontro non solo di melomani ma anche di pittori, poeti, giornalisti, veri e propri salotti romantici in cui si discuteva di arte, letteratura, politica e delle vicende storiche, economiche e sociali che attraversarono la Nazione e la provincia dalla unità d’Italia ai primi decenni del Novecento. Le romanze di Francesco Paolo Tosti, Charles Gounod, Ottorino Respighi sono il sottofondo musicale della fase romantica di una città che si apprestava a vivere cambiamenti culturali e sociali epocali.
L’opera è conservata nella Pinacoteca della Provincia di Avellino che, con acquisti e un lascito testamentario dell’artista, possiede una ricca collezione delle opere del Martelli. Paola Apuzza
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