La realizzazione della gran parte dei dipinti murali interni copre un arco di tempo che ragionevolmente può essere fissato entro il primo lustro degli anni settanta del XVII secolo. Nel 1675 Angelo Solimena firmava il ciclo della Passione nella volta della cantoria con la scritta Angelus Solimenus pingebat 1675. Solo un anno prima , nel 1674, la chiesa era stata inaugurata come si evince dalla scritta in controfacciata ed è probabile che per quella data gran parte della decorazione dovesse già essere ultimata.
La prima zona ad essere dipinta deve essere stato il soffitto fino alla cupola, quindi i santi delle pareti e dei sottarchi delle cappelle insieme al ciclo della Passione e quello con le storie del martirio delle sante Tecla, Archelaa e Susanna. Il ciclo vasto e complesso, certamente non realizzato nel giro di un solo anno, 1674/75, ma lungo un arco di tempo più vasto, deve avere impegnato una attrezzata bottega artistica. Non tutto, infatti, è riconducibile alla mano di Angelo Solimena. Una attenta lettura stilistica, a restauri ormai ultimati, consente di individuare, proprio a partire dal ciclo della Passione, le parti certamente autografe. Qualche perplessità lasciano i restanti dipinti, soprattutto le storie di San Benedetto, la cupola con i pennacchi e le figure allegoriche delle volte unghiate.
La decorazione della cupola con il Paradiso viene esemplata su quella realizzata a Napoli dal Lanfranco nel 1641 nella Cappella del Tesoro del Duomo di San Gennaro. Se si pensa che precedente alla cupola salernitana si conoscono solo due esempi, quella di Agostino Beltrano del 1655 in Donnaregina Nuova e quella di Luca Giordano del 1671 in San Gregorio Armeno, si può ben valutare l’importanza dell’opera nell’ambito della pittura napoletana.
I restanti dipinti raffigurano in cinque pannelli alcuni episodi della vita di San Benedetto, Il Santo spezza gli idoli in controfacciata, San Benedetto converte Totila, La liberazione dell’ossesso, La guarigione del figlio della contadina, Il miracolo dell’acqua. Nelle unghie laterali, invece, sono dipinte coppie di sante e di figure allegoriche di virtù. Tutta questa zona esprime una omogeneità stilistica che potrebbe configurare la presenza di un secondo artista accanto ad Angelo Solimena. Questo problema, che dovrà essere suffragato da ulteriori ricerche anche in sede documentaria, viene sollecitato anche da una strana firma proprio ai piedi degli evangelisti dei pennacchi della cupola, dove si ritrova uno strano monogramma di una Esse con un leggero prolungamento a formare una G., molto diverso da quello del Solimena che intreccia una Esse con una A.
Precedente, ma non di molto, a questa vasta decorazione vanno considerati i resti dell’affresco, nella cappella delle sante martiri, raffiguranti Il trasporto delle spoglie da Nola a Salerno. Il pannello, in origine, doveva decorare una lunetta, come sembra indicare la sua configurazione, e, successivamente, è stato inserito all’interno della cornice dell’altare. La sua cultura riprende ampiamente i canoni tardomanieristi alla maniera di Belisario Corenzio. Antonio Braca
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